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Proposta di intervento di recupero e riutilizzo di due locali del castello di Petramala

Le motivazioni di questa iniziativa legate al contesto storico del Castello e alla sua tutela

Il centro storico di Petramala è stato edificato su affioramenti di arenaria inclinati verso Sud-Ovest. La calcarenite arenacea è formata da strati di sedimentazione di diversa coesione, per cui risulta facilmente degradabile ed è soggetta a decoesione e polverizzazione. Inoltre è caratterizzata da una serie di fratture, variamente orientate, che ne riducono la compattezza. E’ dunque probabile che il toponimo Petramala sia sia riferito alle caratteristiche proprie della roccia sedimentaria. Negli affioramenti di arenaria presenti nel territorio comunale di Cleto troviamo numerose grotte e cavità che evidenziano la complessità del popolamento di carattere rupestre. Oltre alle grotte si registra la diffusa presenza, nelle pareti e nei ripiani rocciosi, di più o meno profonde cavità destinate alla conservazione del grano e di altre derrate alimentari, e di canalizzazioni e vasche finalizzate alla raccolta e conservazione dell’acqua.

Il formaggio e il grano custoditi nel Castello

Che a Petramala vi fossero a pascolo numerose pecore se ne trova testimonianza anche in un triste episodio avvenuto nel XVI secolo e conservato nei Registri della Collaterale di Napoli, ovvero cedolario 75, cit., ff. 43r-44r, nel quale è riportato: “Nel 1579 il barone fa tagliare a pezzi mille pecore appartenenti ad un signore di quelle terre, Giovanni De Angelis”. Il barone in questione era Scipione Cavallo. Questa brutta esperienza di soprusi viene risolta in giudizio dal Viceré con memoriale del 7 maggio 1580, con il quale lo stesso diede disposizione alla Regia Camera di privare il Cavallo di ogni privilegio. La presenza di fosse silos nel castello di Petramala destinate alla conservazione delle granaglie ed alimenti è ben attestata, oltre che dalle testimonianze materiali, dalle fonti documentarie settecentesche, come in un atto notarile del 28 maggio 1781, dove viene riportato l’inventario del castello di Petramala alla morte di Odoardo II Giannuzzi Savelli, quarto Barone di Petramala, in cui viene menzionato “… uno magazeno per uso salar cascio, con più scanzie di tavole, con forme di caio numero 600 che attualmente si sta curando”… “nel magazeno del grano abbiamo dentro lo stesso ritrovato fozze di pietra alcune vacue altre piene, in una fozza di pietra piena abbiamo misurato contenere 200 tumula di grano, alla misura napoletana…”. Segue elenco nominativo di persone a cui sono state affidate, perché le pascolassero, n.1008 tra capre e pecore. Come riportato il Barone di Petramala ne produceva in abbondanza di formaggio e forse ne faceva largo consumo e commercio. Tale abbondanza presume anche l’uso della stagionatura per la conservazione nel tempo del formaggio. Il valore storico del documento in oggetto consolida la tradizione di fare formaggio ovino/caprino in gran quantità già dal 1781, ma sicuramente essa risale a molto prima in virtù del fatto che sulle pendici dei monti rocciosi di Petramala e ai fianchi del borgo vi è un gran numero di grotte adibite a cenobi dai monaci basiliani che, in virtù del voto di non mangiare carne, facevano grande uso di formaggio.

Dal Medioevo ai giorni nostri

I principi fondamentali della produzione del formaggio non hanno subito grosse variazioni nel tempo, più che altro sono cambiati i gusti dei produttori e dei consumatori nelle varie epoche storiche. Nel Medioevo i formaggi stagionati erano molto diffusi in quanto conservabili a lungo e molto nutrienti. I formaggi che si conoscono oggi in Europa e in Italia, tranne che per alcune eccezioni, sono gli stessi che erano diffusi tra il XIV e il XVI secolo. Le tecniche casearie e di conservazione sono state salvaguardate e perfezionate dai monaci che ne erano i custodi e che le hanno raffinate e tramandate fino ai giorni nostri. Inoltre noi abbiamo conoscenza dei metodi usati per la stagionatura, che la tradizione ci ha consegnato e che pensiamo sia necessario conservare ed intendiamo salvaguardare e valorizzare, per dare ai nostri formaggi quelle caratteristiche di storicità che ne assicurano la tipicità e quindi la capacità di essere presenti nel mondo della produzione e dei consumi di oggi.

Conclusioni

Noi crediamo e siamo convinti che il progetto della stagionatura del formaggio in locali storici potrà:

  • creare opportunità di crescita per i piccoli produttori e per le PMI della filiera formaggi;
  • consentire la tutela di una produzione tradizionale a rischio di scomparsa e che appartiene al patrimonio di biodiversità delle aree e delle identità rurale delle popolazioni locali della Regione;
  • applicando le deroghe previste dall’art. 7 del Reg. CE 2074/05 per la fabbricazione di prodotti a base di latte che presentano caratteristiche tradizionali e di stagionalità, si autorizzino l’uso di locali aventi pareti geologicamente naturali localizzati nel Castello, fornendo l’occasione per il recupero e la valorizzazione del patrimonio edilizio oggetto di degrado e, nello stesso tempo, di concorrere ad animare una comunità soggetta a invecchiamento e spopolamento;
  • dare alle autorità competenti la possibilità di assumere specifiche decisioni e atti amministrativi per la individuazione, ristrutturazione e realizzazione dei locali di stagionatura coerenti sia con i disciplinari di produzione dei singoli prodotti, sia con le esigenze di riqualificazione urbanistica e di animazione che vedano coinvolti il prodotto finale formaggio il Castello e il Borgo storico di Cleto.

La scelta di affinare stagionare il formaggio come un tempo nel Castello di Petramala – le motivazioni storiche

Storia di una pratica antica, in grado di dar vita a formaggi unici. La stagionatura in grotta è una pratica di maturazione che risale all’antichità. Luce, umidità e temperatura sono tre elementi decisivi per la corretta maturazione di un formaggio e, prima che potessero essere controllati con le tecniche moderne più avanzate, le grotte naturali che si trovavano principalmente nel Centro Italia, erano la soluzione ideale per affinare il formaggio. Tutt’oggi la grotta, con la sua particolare conformazione e il suo microclima, è l’ambiente migliore per il processo di affinamento, soprattutto se l’uso di tecnologie adeguate (termometri, misuratori di umidità) consente di controllare minuziosamente tutto il processo. All’interno della sede De’ Magi sono state ricreate due grotte rivestite in pietra, scavando nel sottosuolo e installando un sistema tecnologico che consente di controllare, costantemente e da remoto, il microclima di entrambe. Una scelta precisa, fortemente voluta per affinare i formaggi nel modo migliore, ovvero unendo gli insegnamenti della tradizione con i benefici della tecnologia. All’interno delle grotte i formaggi vengono stagionati su assi di legni diversi, in base alla tipologia di formaggio, oppure all’interno di barriques nel caso di erborinati o di maturazioni particolari (sotto mosto, ad esempio). La presenza delle due grotte, del sistema di domotica e delle webcam consente di stagionare ogni formaggio nel modo migliore, quello più adatto a valorizzarne le proprietà controllando in ogni momento il microclima del suo ambiente di maturazione. Ma non solo. Le grotte consentono anche di sperimentare accostamenti e processi di stagionatura speciali in modo da creare, letteralmente, ogni volta una varietà unica capace di conquistare con profumi, consistenza e sapore mai sentiti prima.

I Greci e i Romani. L’uso del formaggio presso le antiche civiltà è provato da molte testimonianze di carattere religioso e letterario. La mitologia greca attribuisce la scoperta del formaggio alle Ninfe, le quali avrebbero insegnato ad Aristeo, figlio di Apollo, l’arte di trasformare il latte; ma la prova più famosa circa l’utilizzo dell’alimento da parte dei Greci si trova nell’Odissea, in cui Omero rappresenta il ciclope Polifemo nella sua grotta, prima nell’atto di mungere pecore belanti, poi nel rito della produzione del formaggio e infine quando lo depone nei cesti di vimini intrecciati. Ed è proprio da questi canestri, i formos, che nasce la parola formaggio. Nei testi di Ippocrate, poi, si parla delle qualità del formaggio che viene definito “forte, molto riscaldante e nutriente”.

Dal Medioevo ai giorni nostri. I principi fondamentali della produzione del formaggio non hanno subito grosse variazioni nel tempo, più che altro sono cambiati i gusti dei produttori e dei consumatori nelle varie epoche storiche. Nel Medioevo i formaggi stagionati erano molto diffusi in quanto conservabili a lungo e molto nutrienti. I formaggi che si conoscono oggi in Europa e in Italia, tranne che per alcune eccezioni, sono gli stessi che erano diffusi tra il XIV e il XVI secolo. Le tecniche casearie e di conservazione sono state salvaguardate e perfezionate dai monaci che ne erano i custodi e che le hanno raffinate e tramandate fino ai giorni nostri.

Curiosità: dalla necessità di difendere il formaggio dai predatori, sono nati i formaggi più buoni e ricercati. Nel periodo feudale solo i contadini e i monaci consumavano il formaggio. E in determinati periodi dell’anno, in special modo autunno, si verificavano, nell’Italia Longobarda e nella Calabria Bizantina, numerose incursioni di arabo/saracene; ma l’astuto contadino, anche se analfabeta, riuscì a salvare il suo prodotto migliore dalle razzie, escogitando improvvisati nascondigli del tipo: sotto la cenere, nel mosto, nei mucchi di foglie secche di diverso genere, nel fieno e naturalmente nelle fosse del grano. Questo ci fa capire che non è stata la cultura scientifica a creare le diverse tipologie di formaggi ma il caso e la necessità.
Quanto fin qui descritto racconta la storia dell’uomo contadino vissuto in epoche lontane fino ad arrivare sino all’inizio del XX secolo. Per quest’uomo, vissuto sempre al servizio di qualcuno, mai indipendente, è una storia di fame e sofferenze, di uomo, appunto, povero, analfabeta, che per sopravvivere, con i pochi mezzi e risorse a disposizione, si è dovuto ingegnare ad escogitare soluzioni che potessero garantire a lui e alla famiglia, quando andava bene, quel minimo di sopravvivenza. Queste soluzioni escogitate, tramandate fino ai giorni nostri, sono definite ora “tradizionali”, cioè fatte bene secondo un metodo sperimentato nel tempo. Queste cose tramandateci, sia che riguardino il cibo sia l’artigianato, sono ora apprezzate e ricercate, e fanno parte delle cose buone fatte dall’uomo. Secondo noi, non si può con nessuna legge negare la tradizione storica o pretendere che ne possa essere dimostrata l’esistenza solo con atti o documenti scritti. La tradizione non scritta fa parte della nostra storia esistita, vissuta, tramandata; essa non va dimostrata, allo stato attuale noi siamo l’evoluzione di quella tradizione storica, quindi la prova. Inoltre noi abbiamo conoscenza dei metodi usati per la stagionatura, che la tradizione ci ha consegnato e che pensiamo sia necessario conservare ed intendiamo salvaguardare e valorizzare, per dare ai nostri formaggi quelle caratteristiche di storicità che ne assicurano la tipicità e quindi la capacità di essere presenti nel mondo della produzione e dei consumi di oggi.